Gara di ultra trail sui monti del Pasubio. 80 km (avete letto bene sono proprio ottanta quasi due maratone) e 5.500 metri di dislivello. Da tempo aspettavo questo appuntamento con la prima edizione della Trans d’Havet, gara di ultra trail, che porta il nome di una delle famose 52 gallerie del Pasubio scavate a mano dai genieri dell’esercito Italiano durante la prima guerra mondiale per contrastare l’avanzata Tedesca. Mi intrigava l’idea di correre concatenando le montagne venete a confine con il Trentino, montagne ricche di storia, capaci di offrire immensi paesaggi sulla pianura. Avevamo pianificato il tutto con gli amici Gianni, Diego, Paolo e Marco ma, se i primi due hanno dato forfait per problemi fisici, altri tre nonesi si sono cimentati in questa gara a dimostrazione che questo sport che ti permette di immergerti e misurarti con la natura sta “contaminando” sempre più atleti, di ogni ceto sociale, provenienti spesso da sport attinenti la montagna ma anche dalla corsa su strada e da altre discipline sportive. Partenza alle 00 di sabato 28 luglio da Piovene Rocchette verso il Monte Summano, Colletti di Velo, Monte Novegno, Forte Rione, Colletto di Posina, Monte Alba, Passo Xomo, Strada delle 52 gallerie del Pasubio, Strada degli Eroi, Galleria d’Havet, Pian delle Fugazze, Sengio Alto, Campogrosso, Cima Carega (Mt. 2130), Catena delle Tre Croci, Cima Marana e arrivo previsto in centro a Valdagno, dopo 80 km e 5500 mt. di dislivello positivo. Atleti alla partenza 273 di cui 185 hanno concluso la gara e 88 ritirati (32%), percentuale molto alta che la dice lunga sulla durezza della gara e le difficoltà causate dalle alte temperature con tasso di umidità molto elevato. Enzo in azione L’emozione della partenza è sempre forte, si scambiamo battute con gli amici e “in bocca al lupo” consapevoli che ognuno farà la propria gara, pensando positivo e cercando di arrivare indenni al traguardo, ma senza esserne certi. I frontalini illuminano i volti tesi degli atleti che per ingannare il tempo controllano gli orologi, sistemano nervosamente i laccioli delle scarpe o strecciano gli arti inferiori, consapevoli di correre le prime 5/6 ore nel buio della vegetazione e delle gallerie. Poi improvvisamente si parte con la folla urlante che ci esalta, l’adrenalina scorre, le gambe sembrano pesanti ed io cerco di non pensare all’intero percorso che mi aspetta e di affrontare le difficoltà mano a mano che si presentano, ripercorrendo a memoria l’altimetria della gara, dosando le energie nelle le salite più dure e facendo molta attenzione nelle discese più tecniche. Ora i frontalini illuminano gli zaini degli amici con cui ho condiviso questa esperienza, siamo già fradici di sudore per il tasso di umidità altissimo che ci costringe a bere in maniera innaturale e apprezzo la scelta di aver portato due borracce con sali minerali e glucosio. Nelle prime cinque ore e mezzo di gara la notte ci accompagna in silenzio nella vegetazione, regalandoci scorci di pianura illuminata e, attraverso le gallerie del Pasubio dove nella mente affiorano le eroiche imprese degli alpini che vi avevano combattuto. Poi con l’alba si susseguono salite e discese più o meno tecniche, ex mulattiere risalenti alla guerra che si snodano rimanendo in quota per chilometri lungo i pendii delle varie montagne attraversate, per poi scendere a valle e risalire ancora, interrotte da qualche gradito ristoro. Le ore scorrono e quando arrivo al ristoro di metà gara, in località Pian delle Fugazze, trovo l’amico Ivano (fradel del Marco Cucù, compagno di gara) che mi scatta una foto “in azione” e mi aggiorna sui passaggi ; mi sento bene e le gambe corrono senza risentimenti muscolari fino alla salita del Carega (mt. 2130) , un ghiaione verticale con scalini rocciosi da affrontare dopo oltre 3000 mt di dislivello, veramente duro ma, mi accorgo che i miei inseguitori sono sempre più distaccati e lentamente ne raggiungo altri più stanchi di me con crampi, sintomi di disidratazione, nausea, sono in attesa del “mio “ momento di crisi che dovrò gestire con l’esperienza senza soccombere. E così, immerso nei miei pensieri che rendono il “viaggio” più “leggero” mi accorgo di essere prossimo alla temuta discesa finale, oltre 15 km fino a Valdagno da affrontare con attenzione perché la stanchezza e la temperatura sempre più alta possono rendere l’arrivo un miraggio. Infatti bevo molto, fino all’ultima goccia dei liquidi rimasti, poi una fontana provvidenziale con l’acqua più buona al mondo accoglie non solo la borraccia ma anche buona parte di me. Riparto con più vigore, riuscendo a mantenere la posizione acquisita anche in discesa, nonostante qualche giovane atleta si sia avvicinato, fino all’arrivo dove un caloroso pubblico mi sostiene regalandomi un applauso (forse perché ero il primo vero brizzolato?). Più tardi realizzo che la 13° posizione assoluta conquistata vale per il titolo di Campione Italiano di Categoria IUTA di “Ultra Trail media distanza”. Un percorso di gara splendido, ben organizzato, con ristori essenziali ma posizionati nei punti strategici, con i volontari sempre pronti a incoraggiarti a proseguire, come se avessero percepito il nostro stato d’animo, le nostre emozioni e il piacere che proviamo nel correre in natura, grazie anche a Loro; Enzo Bacca PS Riceviamo e pubblichiamo volentieri walter |